Adattarsi ai cambiamenti climatici: quanto ci costerà?
L’adattamento ai cambiamenti climatici diventa ormai necessario in quanto nessuna politica di riduzione delle emissioni di CO2 realisticamente potrà arrestare i cambiamenti del clima già in atto. Questi cambiamenti, acuiti dall’accumulo e dalla persistenza in atmosfera di crescenti quantità di CO2, avranno conseguenze sempre più gravi sull’ambiente, l’economia e la società. Ma quali strategie di adattamento adottare, a livello di settore e di paese, e a quali costi, sono ancora nodi irrisolti nel dibattito internazionale.
Proprio dei costi e dei benefici delle strategie di adattamento si è discusso nel workshop internazionale "The Economics of Adaptation to Climate Change", che si è tenuto il 2-3 Aprile 2009 a Venezia, presso la Fondazione Giorgio Cini. Il workshop è stato organizzato da International Center for Climate Governance (ICCG)- una iniziativa congiunta della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) e della Fondazione Giorgio Cini (FGC)- in collaborazione con OECD.
Venezia, 2-3 aprile 2009. Sulla scena internazionale l’adattamento ai cambiamenti climatici è diventato un tema prioritario di studio per la comunità scientifica e per i decisori. Il 1 aprile la Commissione Europea ha finalmente reso pubblico l’atteso Libro Bianco sull’adattamento ai cambiamenti climatici, “Adattamento ai cambiamenti climatici: verso un Quadro d’azione Europeo”, in cui si propone l’istituzione di un Quadro d’azione Europeo per ridurre la vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici dell’Europa. Il piano intende essere complementare alle azioni di adattamento intraprese dai singoli Stati Membri promuovendo un approccio integrato e coordinato fra Paesi. A questo proposito il Libro Bianco esorta gli Stati membri a sviluppare ulteriormente le Strategie di adattamento Nazionali o Regionali, considerando anche la possibilità che tali strategie diventino obbligatorie a partire dal 2012. Il nostro Paese, al momento privo di una strategia per l’adattamento, deve dunque affrettarsi ad affrontare anche in termini operativi questo tema.
Ma che cosa si intende esattamente per adattamento? Ormai c’è consenso scientifico sulle previsioni in aumento delle temperature globali, che porteranno cambiamenti nelle stagioni, nell’aumento delle acque del mare, e nell’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi climatici estremi, quali le ondate di calore, la siccità, le tempeste e le inondazioni. Questi eventi climatici avranno conseguenze sul sistema ambientale, sociale ed economico, e sarà quindi necessario prepararsi ad affrontare le nuove condizioni di vita dettate dai cambiamenti del clima attraverso l’adattamento. Strategie di adattamento riguardano, ad esempio, misure per la protezione delle coste dall’innalzamento delle acque del mare, la capacità di adattare il sistema turistico a stagionalità mutate, la possibilità di realizzare – per l’agricoltura – nuovi e più efficienti sistemi di seminazione e di irrigazione a favore del risparmio idrico, o ancora di rendere funzionanti sistemi di allarme per ondate di calore straordinarie, sia in agricoltura che nella sanità.
La tabella seguente illustra più in dettaglio alcuni esempi.
Tabella 1. Alcuni esempi di opzioni di adattamento nei vari settori economici
Agricoltura
- Misure assicurative sui raccolti
- Irrigazione più efficiente
- Silvicoltura con tempi di rotazione delle colture più brevi
Zone costiere
- Protezione della costa/ costruzione di barriere sul litorale
- Potenziamento delle idrovore nelle aree limitrofe al litorale costiero
- Più severa pianificazione dell’uso del territorio lungo la costa
- Schemi assicurativi, di allerta ed evacuazione
- Creazione di istituzioni per l’analisi del rischio e la pianificazione di lungo periodo
- Ri- localizzazione delle attività produttive e di servizi (incluso il turismo) nelle aree costiere
Salute e abitazioni
- Sistemi di condizionamento
- Miglioramento degli standard di efficienza energetica degli edifici
- Ricerca e sviluppo sul controllo delle malattie trasmesse da vettori sensibili ai cambiamenti del clima (ad es. la malaria), e diffusione dei vaccini
- Miglioramento nel sistema della sanità pubblica (ad es. nei servizi di assistenza alla popolazione più vulnerabile- bambini e anziani)
Risorse idriche
- Azioni a favore del risparmio idrico sia dal lato dell’offerta (ad es. riduzione delle perdite nella distribuzione) che della domanda di acqua
- Aumento della capacità delle riserve idriche
- De-salinizzazione e trasporto dell’acqua
Pianificazione del territorio
- Migliori standard di efficienza energetica degli edifici e delle infrastrutture (sia sul nuovo che sull’esistente)
- Pianificazione più severa, sia in ambito urbano che rurale
- Sviluppo di sistemi di pre-allerta
- Creazione di infrastrutture per far fronte a inondazioni e tempeste
Turismo
- Creazione di impianti di sci con innevamento artificiale nelle zone alpine
- Adeguamento delle infrastrutture alla mutata stagionalità (ad es. maggiore efficienza nella coibentazione delle strutture alberghiere, creazione di piscine anche indoor nelle regioni più calde)
- Adeguamento dei servizi alla mutata stagionalità (ad es. incremento dell’offerta di servizi meno sensibili al clima, quali i centri benessere)
Quali sono le difficoltà nella valutazione delle strategie di adattamento ottimali? L’adattamento è un processo, che deve essere valutato nello spazio e nel tempo. Sia da una prospettiva locale, in quanto le strategie di adattamento sono disegnate per far fronte agli impatti in aree specifiche, sia da un punto di vista globale, in quanto si tratta di un problema che coinvolge tutto il mondo e necessita di una strategia condivisa a livello internazionale. Strategie di risposta agli impatti nell’immediato devono anche rispondere ai bisogni di adattamento nel lungo periodo. L’eterogeneità degli orizzonti di spazio e tempo rappresenta dunque una grossa sfida per gli economisti nell’identificazione di strategie ottimali, in supporto alle politiche.
Anche il Libro Bianco sottolinea come la gravità degli impatti del cambiamento climatico vari fra regioni, e come in Europa le regioni più vulnerabili si trovino nell’Europa del Sud, nel bacino del Mediterraneo e nell’Artico. Le aree montane, le isole, le zone costiere e le pianure ad alta densità di popolazione sono le zone che presumibilmente dovranno affrontare gli impatti più gravi. I settori coinvolti saranno l’agricoltura, le foreste, il settore ittico, le coste e gli ecosistemi marini, il settore energetico, delle infrastrutture, della salute di uomini, piante ed animali, e del turismo. Ad esempio ci si aspetta che il turismo nelle zone alpine e nell’area mediterranea sarà influenzato molto negativamente dall’aumento delle temperature. Il rapporto illustra anche qualche numero: gli impatti del cambiamento del clima sulle precipitazioni e sui ghiacciai potrebbero fare aumentare di almeno il 5% la produzione idroelettrica nell’Europa del nord, e ridurla di più del 25% nell’Europa del sud nella seconda metà del secolo. Le aree soggette ad uno stress idrico elevato sono stimate aumentare dal 19% di oggi al 35% nel 2070. Tuttavia gli impatti sono complessi e hanno una forte dimensione locale e regionale. Per sviluppare e coordinare le più efficaci strategie di adattamento è necessario consolidarne il sapere scientifico, attualmente frammentario, e l’analisi economica. In questa direzione il Libro Bianco enfatizza il bisogno di creare entro il 2011 un meccanismo di Clearing House. La Clearing House faciliterà lo scambio di informazioni sui rischi, gli impatti e le best practice sul cambiamento climatico fra i governi, le agenzie e tutte le organizzazioni che lavorano sulle politiche di adattamento.
Il bisogno di confrontare metodi e risultati su questi temi, in linea con gli obiettivi della Commissione Europea, ha animato il dibattito scientifico sugli aspetti economici della vulnerabilità e delle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici in occasione del workshop internazionale su "The Economics of Adaptation to Climate Change", che si è tenuto il 2-3 Aprile 2009 a Venezia, organizzato da International Center for Climate Governance (ICCG)- una iniziativa congiunta di FEEM e FGC- in collaborazione con OECD.
Il workshop ha radunato ricercatori di eccellenza impegnati nello studio dell’economia dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Obiettivo del workshop era valutare e analizzare in maniera critica i futuri sviluppi e i nuovi approcci necessari a rispondere a quesiti ancora irrisolti. I temi cruciali affrontati dagli economisti al workshop hanno riguardato essenzialmente quanto ci costerà adattarci, chi dovrà sopportare i maggiori costi dell’adattamento, e quali risorse o nuovi strumenti dovranno essere disegnati per finanziare l’adattamento, soprattutto nei paesi poveri, maggiormente vulnerabili.
Gli studi della FEEM mostrano che la scelta ottimale di investimento nell’adattamento deve includere sia misure preventive, che reattive (conseguenti agli impatti), oltre ad investimenti nella conoscenza e nella ricerca su questo tema. Come intuibile, lo studio di Carraro et al., FEEM, conferma che gli investimenti in risposta agli impatti prevarranno al termine di questo secolo, quando i danni saranno più elevati, e nelle regioni più vulnerabili, tipicamente i Paesi non-OECD. In un portafoglio ottimale di politiche per il controllo dei cambiamenti climatici, le strategie di adattamento devono essere complementari a quelle di mitigazione, cioè di riduzione delle emissioni di CO2, particolarmente nei paesi in via di sviluppo, caratterizzati da una maggiore vulnerabilità e danni attesi molto maggiori che nel resto del mondo. Il grafico seguente, tratto sempre dallo studio di Carraro et al., FEEM, 2009, mostra come il valore del danno residuo dei cambiamenti climatici nel corso del secolo su scala globale sia nettamente inferiore nel caso si intraprendano congiuntamente azioni di mitigazione e adattamento, rispetto al caso in cui si attuino sole politiche di mitigazione in assenza di adattamento. Il valore del danno residuo, ovvero del costo degli impatti del cambiamento climatico al netto dei costi e dei benefici delle azioni di mitigazione e adattamento, è misurato in termini percentuali rispetto al GDP (Gross Domestic Product).
Grafico 1. Il danno residuo dei cambiamenti climatici su scala globale
Dunque adattarsi non significa rinunciare a limitare le emissioni, ma richiede invece scelte di politiche di mitigazione e adattamento complementari e coordinate, con un’attenzione alle priorità da attuare fra i diversi settori e le diverse regioni del mondo.
Ad oggi si stima che i danni maggiori nei paesi in via di sviluppo riguarderanno l’agricoltura, mentre nei paesi industrializzati si manifesteranno nel settore del turismo. Lo studio di R. Tol dell’ Università di Amburgo, mostra l’elevata vulnerabilità dell’agricoltura, con danni attesi che risultano essere più gravi nella prima metà del secolo. Nella stessa direzione i risultati presentati da W.Schlenker, Università Columbia, USA, mostrano come la produzione agricola sia direttamente legata a fattori climatici, con un effetto dominante dettato dalle temperature estreme. Negli Stati Uniti si stima che i rendimenti in agricoltura possano diminuire entro la fine di questo secolo del 30-46% in uno scenario di lento aumento della temperatura, e addirittura del 63-82% in uno scenario di molto più rapido aumento della temperatura.
Sempre focalizzandosi sugli eventi estremi, nel caso specifico sugli uragani, la ricerca di Stephane Hallegatte, di Meteo France- CIRED, mostra che in assenza di adattamento un aumento di 2K (gradi kelvin) della temperatura dell’Oceano Atlantico potrebbe tradursi in un aumento delle perdite economiche dovute agli uragani di circa il 60%. La preoccupazione maggiore riguarda gli uragani più forti, che raddoppierebbero la probabilità di avere perdite superiori ai 50 milioni di US$.
Gli studi esistenti su impatti e adattamento sono molti, anche se spesso difficili da paragonare dati i diversi approcci metodologici, i diversi scenari e database utilizzati.
Da qui l’interessante lavoro di Resources for the Future, USA, che si propone di creare un Global Adaptation Atlas che tracci una mappa geografica degli impatti stimati, delle politiche e dei fondi stanziati per l’adattamento nel mondo, per evidenziare gaps sul fronte della ricerca scientifica e delle politiche, monitorando nel tempo impatti e risposte, e coordinando le azioni a livello globale.
Cruciale a riguardo, argomento ampiamente discusso nel workshop, è la distinzione e lo sfruttamento delle potenziali sinergie fra i fondi dedicati all’adattamento e i fondi per lo sviluppo. Si pensi che i fondi destinati all’ODA (Overseas Development Assistance) nel 1985 erano pari ai fondi per l’ODA nel 2005. E’ evidente l’urgenza di generare risorse per l’adattamento, contribuendo allo sviluppo dei paesi poveri anche attraverso la riduzione della vulnerabilità ai cambiamenti climatici.
Tanti sono i temi aperti da studiare. Fra questi come già detto è prioritario identificare le azioni di adattamento più efficaci ed efficienti in risposta alle diverse vulnerabilità, nei vari settori e su diverse scale spaziali e temporali. Altrettanto importante è identificare le sinergie fra le azioni di adattamento e le cosiddette strategie di sviluppo ‘no regret’, che si dovrebbero cioè intraprendere indipendentemente dagli impatti attesi dei cambiamenti climatici. Infine rimane da valutare come si concretizzi l’adattamento nei settori non di mercato, quali i servizi offerti dagli ecosistemi – tema di cui si sa ancora molto poco.