Cosa accadrà al clima dopo Copenhagen?
Il 20 gennaio 2010 ale ore 20.45, Emanuele Massetti – ricercatore senior della Fondazione Eni Enrico Mattei – spiegherà in un incontro presso il convitto universitario Beata Vergine di San Luca di Bologna cosa accadrà al clima dopo Copenhagen e illustrerà scenari di transizione verso un mondo a basse emissioni di gas serra.
Questo incontro è rivolto a chi vuole capire meglio cosa è successo veramente a Copenhagen e più in generale sarà uno stimolo di riflessione e di discussione, per tutti coloro che vogliono scoprire i risvolti più interessanti e controversi delle politiche per contrastare il riscaldamento globale.
Come ampiamente previsto da molti analisti, la Quindicesima Conferenza delle Parti (COP15) che si è tenuta a Copenhagen dal 7 al 18 dicembre 2009, non si è conclusa con la firma di un trattato internazionale legalmente vincolate, in grado di sostituire il Protocollo di Kyoto dal 2013.
Difficilmente l’esito della COP15 poteva essere diverso. Chi riponeva speranze sulla possibilità di firmare un accordo internazionale vincolante non faceva i conti con la realtà dei fatti. Innanzitutto è bene notare che sarebbe stato impossibile per gli Stati Uniti impegnarsi senza il voto preventivo del Senato sulla proposta di legge Boxer-Kerry, che contiene obiettivi domestici per la riduzione delle emissioni. L’approvazione da parte del Senato della Boxer-Kerry si aggiungerebbe all’American Clean Energy and Security Act (la legge Waxman-Markey) già passato al Congresso e darebbe al Presidente Obama la possibilità, e la credibilità, di proporre una più ambiziosa politica climatica a livello internazionale.
In secondo luogo, se i Paesi in via di sviluppo a rapida crescita non faranno alcuno sforzo per ridurre le loro emissioni di gas serra – non necessariamente da subito, più realisticamente dopo un periodo di grazia – ogni sforzo dei Paesi sviluppati di frenare le loro emissioni sarebbe vanificato e diventerebbe impossibile contenere l’aumento della temperature entro livelli accettabili.
I Paesi in via di sviluppo rifiutano però di assumere impegni di riduzione delle emissioni legalmente vincolanti, perché il loro obiettivo principale è la lotta contro la povertà e per via del fatto che, storicamente, essi sono solo marginalmente responsabili dello stock di gas serra presenti nell’atmosfera. Pertanto, è perfettamente comprensibile che i Paesi in via di sviluppo non acconsentano a prendere impegni legalmente vincolanti senza che le maggiori economie mondiali non siano pronte a fare altrettanto.
Questi sono in breve le cause principali dello stallo delle negoziazioni. A Copenhagen è stato impossibile far nascere un vero e proprio trattato internazionale.
Ci sono però due novità interessanti che emergono da Copenhagen sulle quali è opportuno riflettere prima di esprimere un giudizio sull’esito della COP15. Innanzitutto, i leader delle maggiori economie hanno indicato, sebbene in maniera informale e non vincolante, obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020. In secondo luogo, a Copenhagen è stato definito l’ammontare delle risorse che dovranno essere destinate ai Paesi in via di sviluppo per finanziare azioni di mitigazione, come viene definita in gergo l’azione di abbattimento delle emissioni, e di adattamento ai cambiamenti climatici. (Nota: Questa introduzione è tratta da un articolo scritto insieme a Carlo Carraro di prossima pubblicazione su www.lavoce.info)
Un uso appropriato dei contributi dei Paesi ricchi ai Paesi in via di sviluppo potrebbe però essere la chiave di volta per rendere veramente incisivi gli impegni di riduzione delle emissioni presi a Copenaghen.
***
Per maggiori informazioni:
Istituto Salesiano B.V.DI S. LUCA BOLOGNA
www.salesianibologna.it
Tel.: 051/4151711 – Fax: 051/4151777
Fondazione Eni Enrico Mattei