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Nel marzo del 2009, quando stavano subendo perdite sui loro investimenti per un valore pari a 67 miliardi di dollari, i fondi sovrani hanno deciso di riorganizzarsi. Di ripensare le loro strategie. Di fare un salutare mea culpa, per poter tornare sul mercato con un volto nuovo. E così è stato: questi potenti investitori di matrice statale con quasi 2.500 miliardi di dollari di attivi in gestione e una potenza di fuoco impareggiabile, l’anno scorso hanno cercato di cambiare pelle. Hanno ridotto gli investimenti del 40% rispetto al 2008 e hanno avviato un profondo ripensamento. Questo è il messaggio più forte che arriva dal rapporto annuale sui fondi sovrani elaborato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei e Monitor Group: i fondi sovrani – cioè gli strumenti finanziari di Paesi con enormi riserve come quelli arabi o la Cina – sono pronti a una nuova stagione.

Un anno da dimenticare

Iniziamo dai numeri del 2009, che mostrano una vera e propria debacle. Dopo essere intervenuti, nelle prime fasi della crisi finanziaria, per salvare le banche acquistando quote importanti di molti istituti Usa, nel 2009 hanno tirato i remi in barca. Durante l’intero anno, i fondi sovrani hanno infatti ridotto drasticamente gli investimenti: lo studio ne ha contati 113 per un importo di 68,8 miliardi di euro, in calo del 40% rispetto ai 109 miliardi del 2008. Ovviamente la retromarcia maggiore ha riguardato gli investimenti in azioni delle banche e delle istituzioni finanziarie in genere: dai 49 investimenti effettuati nel 2008 per 81,7 miliardi, siamo passati a 28 per 10,2 miliardi. Idem per l’altro settore dolente della crisi, quello immobiliare: gli investimenti dei fondi sovrani si sono più che dimezzati. Per contro, invece, questi grossi fondi si sono dirottati sul settore industriale: dal petrolio alle energie naturali, dalla tecnologia all’ingegneria.

E – unico dato che mostra continuità rispetto al 2008 – i fondi sovrani hanno mantenuto l’Europa come obiettivo principale: il Vecchio continente conta infatti per il 42,5% delle operazioni effettuate nel 2009. Ma anche l’Asia è cresciuta, dato che è rimasta l’area in cui sono stati effettuati il maggior numero di investimenti (in termini numerici, non di controvalore): 32 affari.
Operazione rilancio
Ma i fondi sovrani stanno cercando di reagire. Lo studio rileva infatti che il 2009, sebbene sia stato un anno di scarsi investimenti e di forti perdite, è stato anche un momento «di riflessione e di riorganizzazione». Il fondo China Investment Corporation (Cic) è quello che più profondamente ha cercato di cambiare pelle. Alla fine di febbraio ha infatti iniziato ad assumere professionisti nel settore delle materie prime, delle risorse naturali, del private equity e dell’obbligazionario, «Questo suggerisce che Cic sta reclutando talenti per una nuova fase di investimenti – si legge sullo studio – con l’obiettivo di lavorare sui titoli asset-backed e sull’economia reale». E infatti da quel momento Cic ha iniziato a diversificare maggiormente il suo portafoglio. E non è l’unico: anche i fondi della Norvegia, di Singapore e Temasek hanno rivoluzionato gli organici.

Ma la riorganizzazione è più profonda di un semplice "rimpasto". Molti fondi sovrani, per la prima volta, iniziano a coalizzarsi per affrontare al meglio alcuni investimenti particolarmente delicati. Per esempio il fondo Government of Singapore Investment (Gic) si è alleato con i fondi della Cina (Cic) e del Kuwait (Kia) per contribuire con 2,8 miliardi di dollari all’acquisizione da parte di Blackrock su Barclays Global Investors. «Questa – si legge sullo studio – è stata la prima volta in cui i fondi sovrani hanno agito insieme su un investimento di tali dimensioni, piuttosto che in ordine sparso». E, anche in questo caso, l’esempio è stato seguito da altri fondi in diverse operazioni. Forse è per questo che già nella seconda metà del 2009 – complice soprattutto il rally dei mercati – i fondi sovrani hanno nuovamente accelerato gli investimenti.