Comuni e province sono azionisti di centinaia di società di capitale: 
240.000 dipendenti, un giro d’affari di 43 miliardi di euro… un mezzo
impero.
A partire da un’analisi dei loro bilanci, questo libro dà uno spaccato
della situazione di oltre 700 imprese pubbliche locali italiane,
mostrandone luci e ombre, con un paese anche qui pesantemente diviso. Il
“capitalismo municipale” vede protagonista il centro nord, mentre al
sud, oltre all’imprenditoria privata, langue anche una iniziativa
pubblica in forma genuinamente imprenditoriale.
Abbiamo imprese pubbliche che forniscono servizi pubblici locali, ma
anche imprese di informatica e di logistica, imprese di costruzioni e
farmacie, miniere e case da gioco. Con una “missione” pubblica spesso
oscura e differenze nelle performance – anche tra imprese simili – che
talvolta lasciano sconcertati.
Alcuni comuni usano queste imprese per finanziarsi, altri per spendere,
purtroppo senza preoccuparsi di come coprire le spese. Alcuni le usano
per promuovere lo sviluppo delle infrastrutture, altri per pagare
sussidi a lavoratori “socialmente utili”, mascherando forme di
assistenza sotto le sembianze di imprese.
Sono imprese da cui dipendono tanti servizi, e flussi finanziari
imponenti. Chi ha un vero progetto industriale, riesce a fare affluire
nelle casse comunali utili complessivi per centinaia di milioni di euro.
Chi invece le usa per spendere, riesce a creare buchi di bilancio
ugualmente importanti, con pochi controlli e un sistematico rinvio delle
soluzioni ai problemi. Soprattutto al sud, ma neanche il nord può
scagliare la prima pietra. Forse servono riforme, ma forse, più
semplicemente, il rispetto delle regole e dei vincoli di bilancio.

Comuni e province sono azionisti di centinaia di società di capitale:  240.000 dipendenti, un giro d’affari di 43 miliardi di euro… un mezzo impero.
A partire da un’analisi dei loro bilanci, questo libro dà uno spaccato della situazione di oltre 700 imprese pubbliche locali italiane, mostrandone luci e ombre, con un paese anche qui pesantemente diviso. Il “capitalismo municipale” vede protagonista il centro nord, mentre al sud, oltre all’imprenditoria privata, langue anche una iniziativa pubblica in forma genuinamente imprenditoriale.
Abbiamo imprese pubbliche che forniscono servizi pubblici locali, ma anche imprese di informatica e di logistica, imprese di costruzioni e farmacie, miniere e case da gioco. Con una “missione” pubblica spesso oscura e differenze nelle performance – anche tra imprese simili – che talvolta lasciano sconcertati.
Alcuni comuni usano queste imprese per finanziarsi, altri per spendere, purtroppo senza preoccuparsi di come coprire le spese. Alcuni le usano per promuovere lo sviluppo delle infrastrutture, altri per pagare sussidi a lavoratori “socialmente utili”, mascherando forme di assistenza sotto le sembianze di imprese.
Sono imprese da cui dipendono tanti servizi, e flussi finanziari imponenti. Chi ha un vero progetto industriale, riesce a fare affluire nelle casse comunali utili complessivi per centinaia di milioni di euro. Chi invece le usa per spendere, riesce a creare buchi di bilancio ugualmente importanti, con pochi controlli e un sistematico rinvio delle soluzioni ai problemi. Soprattutto al sud, ma neanche il nord può scagliare la prima pietra. Forse servono riforme, ma forse, più semplicemente, il rispetto delle regole e dei vincoli di bilancio.