3 minutes read

Dove nascono le idee che indirizzano l’azione dei governi, come orientarsi nella babele di analisi e previsioni che disegnano il mondo di domani?

L’Università della Pennsylvania ha appena pubblicato il rapporto annuale «Global Go to», la classifica mondiale dei think tank che si propone come bussola per affrontare il duplice scenario nel quale la conoscenza è diventata un bene sempre più accessibile grazie alla rivoluzione digitale che abbatte barriere fisiche e allarga gli orizzonti della democrazia, ma si fa anche più urgente la necessità di fonti affidabili che aiutino a isolare i fenomeni davvero rilevanti e le tendenze destinate a durare. In quest’ottica acquistano un peso crescente quelle organizzazioni, indipendenti o affiliate a partiti e movimenti, che conducono ricerche e analisi sulle politiche pubbliche per stimolare una riflessione ai vertici e influenzare i processi decisionali: i think tank.

Il «Global Go To» 2012, realizzato con la collaborazione di studiosi e analisti di tutto il mondo, passa in rassegna i 6.603 organismi attivi sui cinque continenti e individua diverse categorie. «Think tank dell’anno», la Brookings Institution, faro dell’America liberai che negli anni non ha esitato a posizionarsi a destra su dossier specifici come la politica estera di Bush Jr. Tra i «Top Zoo» per influenza e autorevolezza in Occidente (Stati Uniti esclusi) compaiono per l’Italia il Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, l’Istituto Bruno Leoni (di indirizzo liberale, con sedi a Torino e Milano), l’Istituto per gli Studi di politica internazionale-Ispi; si aggiungono, nei «Top 150» che comprendono gli Usa, Istituto Affari internazionali e Fondazione Eni Enrico Mattei; tra i migliori «con affiliazione politica», la Fondazione Italianieuropei.

Pubblicato per la prima volta nel 2006, il rapporto è ormai un punto di riferimento nel settore. Gli Stati emergenti sono ancora sottorappresentati: oltre il 6o% dei think tank di tutto il mondo ha sede in Europa e Nord America, 1.823 nei soli Stati Uniti. I meglio finanziati si trovano nei Paesi del G7 (Usa, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Canada). Ci vorrà del tempo prima che le tecnologie sempre più avanzate e a basso costo riescano a bilanciare il ritardo storico del Sud del mondo. Parallela alla perdita del monopolio governativo del flusso delle informazioni, la crescita dei think tank e del loro ruolo negli ultimi vent’anni è stata inarrestabile e la rete degli istituti oggi copre 182 Paesi. Per la prima volta, fra i trend del 2012, il rapporto registra una battuta d’arresto nella nascita di nuove organizzazioni, dovuta soprattutto al calo dei finanziamenti, alla minore disponibilità degli sponsor per progetti a lungo termine, all’aumentata competitività di società di consulenza private e alla crescente specializzazione che depotenzia l’approccio interdisciplinare, cifra di molti think tank. Da non sottovalutare le potenzialità della svolta generazionale in atto: alcuni degli istituti più prestigiosi hanno visto un cambio di leadership negli ultimi 12 mesi e altri, Brookings compresa, stanno per affrontarlo. In un settore delicato come la creazione di opinioni, un mutamento in cabina di regia può essere determinante. Tra i consigli per i nuovi leader, quello dell’economista Joseph Stiglitz: «Indagare globalmente e agire localmente». Profondità di visione e concretezza, senza dimenticare la teoria dei «Quattro Più». Cosa ci riserva il futuro? Più problemi, più soggetti coinvolti, più competizione, più conflitto.

Dal Corriere della sera, 23 gennaio 2013

Visita il sito